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Recensione di: The Green Hornet

26/01/2011 | Recensioni |
Recensione di: The Green Hornet

The Green Hornet è tornato! Si, ma Bruce Lee purtroppo no… Riportare sul grande schermo una serie televisiva cult degli anni Sessanta, che condusse l’artista marziale alla ribalta della tanto agognata Hollywood, non è cosa semplice. Il compito richiede non solo una grandissima dedizione e riverenza nei confronti di una leggenda, ma anche, e soprattutto, una qualche intuizione registica e drammaturgica che ne modernizzi tanto l’aspetto visivo, quanto quello del racconto. Ma facciamo un passo indietro. Era il lontano 31 gennaio 1936,  quando George W. Trendle e Fran Striker crearono, per la radio statunitense, un serial i cui protagonisti erano il Calabrone Verde e il suo assistente Kato, pseudo criminali che giocano a fare i supereroi (il celeberrimo Al Hodge prestava la sua calda voce a questa avvincente storia). Questo il preludio a quella fase che va dagli anni Trenta agli anni Sessanta chiamata Golden Age; ovvero il periodo nel quale esplosero a livello fumettistico le figure dei supereroi, a cominciare dal Superman della DC Comics. Le caratteristiche antropologiche dei successivi Batman, Spiderman ecc., ci sono tutte: maschera, costume ed armi che ne identificano la natura; inseguimenti in macchina, l’amore per una donna irraggiungibile, e soprattutto quella doppia identità che ne giustifica la clandestinità. Per tornare ai giorni nostri, quando abbiamo appreso che Michel Gondry avrebbe realizzato questo importante ritorno, gli amanti del regista francese non potevano che esserne entusiasti, speranzosi che il suo stile visionario avrebbe dato una cromatura diversa ad un personaggio ormai “passato di moda”. Ovviamente come tutte le aspettative, puntualmente vengono deluse. Nel cast non bastano Seth Rogen, la star taiwanese Jay Chou (abilissimo quasi quanto il “maestro”) e Cameron Diaz a risollevare le sorti di un film senza il benché minimo spessore stilistico (tranne che per una, comunque già vista, cornice fumettistica all’inquadratura, che segue alcuni personaggi durante un passaparola). Persino il Premio Oscar Christoph Waltz, che interpreta il boss Chudnofsky, personaggio creato esclusivamente per il film, riesce a dare slancio a un film tendenzialmente poco innovativo. Ci si diverte, questo si, ma francamente mirare a qualcosa di più era un obbligo “morale”…

Serena Guidoni

 


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